Bae Chang-ho


Bae Chang-hoRegista.

 

 

Vitale regista sudcoreano con un’ampia carriera alle spalle, lo abbiamo intervistato in occasione della presentazione del film Road al 7° Far East Film Festival, ma abbiamo tentato di tastare come al solito il polso di un’intera industria.

 

 

 

 


Asian Feast: Ci può fare una breve panoramica della sua carriera?

Bae Chang-ho: Ho girato il mio primo film nell”82 e fino ad ora sono arrivato alla cifra di 18 lungometraggi come regista e diversi altri in qualità di produttore.

AF: A quali si sente più affezionato?

BCH: Slum People, il mio primo film, mi sta molto a cuore. C’è poi un film dell”86, ambientato nel XVI secolo della nostra storia, Hwang Jin-yi, una figura femminile realmente esistita e molto popolare che mi premeva portare sullo schermo. Cinque anni fa ho poi ricevuto parecchie conferme con My Heart, che, proprio qui a Udine, si è aggiudicato il premio del pubblico.

AF: E, visto che ancora non è uscito per il mercato internazionale, qual è stata l’accoglienza riservata dal pubblico coreano al film che presenta qui, Road?

BCH: Ha riscosso un buon successo, come cinque anni fa My Heart, e spero che anche negli anni possa venire ricordato. Per il momento sono molto soddisfatto.

AF: In cosa differisce il pubblico coreano da quello estero?

BCH: Stamattina ho girato Udine per circa due ore, osservando le strutture architettoniche, molto diverse dalle nostre, e quindi, per me, interessanti. Analogamente, i film che noi produciamo si relazionano a qualcosa che il pubblico coreano già conosce. Invece da queste parti sono visti con un altro punto di vista, costruito su una cultura e degli  interessi molto diversi da quelli asiatici.

AF: Quali requisiti devono avere gli attori che selezionate?

BCH: A volte gli ostacoli sono numerosi. Personalmente vorrei sempre lavorare con attori che provino un certo coinvolgimento col film – per Road è stata una mia precisa volontà ricoprire di persona quel ruolo -. Tuttavia ci sono sempre di mezzo le pressioni degli investitori, perciò gran parte delle decisioni viene presa badando unicamente al nome piuttosto che a una corrispondenza con la parte. Come in tutto il mondo, quindi.

AF: Solitamente è Lei a stendere la sceneggiatura o utilizza copioni scritti da altri?

BCH: Spesso sono io stesso a scriverla.

AF: Da dove prende l’ispirazione?

BCH:Quando un ambiente particolare mi colpisce il cuore cerco di svilupparci attorno una storia, basandomi principalmente su episodi autobiografici. Apro il mio cervello e provo a ripescare dei ricordi, come da un frutto che possa maturare. La mia vita e la mia moralità stanno quindi alla base dei miei film, insieme al tema dell’armonia.

AF: Il cinema coreano si sta allargando sempre più verso il mercato estero, anche in Italia ne abbiamo avuto la conferma. Qual’è la sua opinione a riguardo?

BCH: Non mi convince più di tanto l’esportazione del nostro cinema, mi sembra quasi una moda passeggera (intanto sulla poltroncina accanto è seduto Park Chul-soo, strenuo sostenitore della tesi opposta, ndr). I film coreani non sono mai stati apprezzati appieno fuori dai confini nazionali, poiché mancano le basi per giudicare il nostro modo di vivere. Adesso è una moda portare tutto all’estero…

AF: Trascurando magari il mercato interno…

BCH: D’altronde in questo momento c’è proprio un boom di produzioni cinematografiche pensate per l’estero, certo meglio curate che in passato…

AF: Ma che assicurano più guadagni?

BCH: Mmmh… Direi di sì.

AF: Quali sono i film da cui è stato più segnato e influenzato durante la sua carriera?

BCH: Conoscete bene i registi coreani?

AF: Qualcuno…

BCH: (Snocciola, uno dopo l’altro, nomi di registi coreani che il sottoscritto puntualmente ignora)… e in generale quando si facevano film in bianco e nero, secondo me affascinante. Ci sono tanti film sul passato e sulle tradizioni coreane. Soprattutto per il mio ultimo film ho spinto perché fossero riprodotte le atmosfere e gli usi dell’epoca. Adesso in Corea ci sono parecchi film che guardano ad altri generi, invece io con Road ho proprio voluto riportare l’attenzione sui temi della scuola dei grandi maestri.

AF: Quali sono invece i film, non necessariamente coreani, che ritiene dei capolavori?

BCH: Sono tanti i film che ho apprezzato, però il cinema è un’arte composta da più elementi che, in primo luogo, è già difficile soltanto coordinare. Un capolavoro dovrebbe essere una cosa molto completa. Di conseguenza capita che di un film possano piacermi gli attori, in un altro la fotografia, ma un capolavoro completo deve ancora essere girato. Personalmente prediligo i film che riescono ad esprimere appieno le nostre tradizioni e il nostro modo di essere, cioè la nostra vita.

AF: Cosa ne pensa di questo Festival udinese?

BCH: La gente è molto cordiale, gentile ed è ben organizzato, caratteristiche che mi fanno venire in mente il Festival coreano di Pusan. Anche da queste cose si riesce ad osservare quanto il carattere degli italiani e dei coreani sia simile. Entrambi vivono su una penisola, sono molto passionali e affettuosi e venendo qui ho avuto la conferma di quanto avevo solo sentito dire. E poi anche in Corea, come qui, gli ospiti che arrivano si sentono subito a proprio agio. Insomma l’Italia assomiglia tanto alla Corea.

 

Foto di Marco Tregambi:

 

Immagini da Road (2004):