You Are My Sunshine

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You Are My SunshineAttenzione! Leggeri spoiler!

Un bifolco si invaghisce di una ragazza “da bar” e la vorrebbe sposare, questa in parole molto povere la situazione iniziale di You Are My Sunshine. Senonché, appunto, si tratta solo dell’incipit, della punta di un iceberg che cela l’entità della sua massa più consistente in profondità.

Ambientato nell’operosa provincia coreana fatta di allevamenti ekaraoke bang, il copione di Park (Too Young to Die) tocca un tema non inedito e che sarà ripreso in altre occasioni: l’ingenuo e infantile contadinotto scapolo che si sforza di trovare una moglie di poche pretese che si accontenti di una vita dura e umile (cfr. Wedding Campaign o la miniserie Bride From Hanoi). Tuttavia, pur introducendo dei personaggi tipici della commedia – il bifolco, l’amicone, la bella ragazza dal passato fumoso – prende una direzione diametralmente opposta, non prima di aver dato alla love story il leggero tocco del melo “alla Hur Jin-ho”, omaggiato apertamente in più occasioni (One Fine Spring Day su un manifesto per strada e in un drive in; la protagonista che si fa chiamare Eun-ha).
Poi, al giro di boa della metà film, il regista imbocca la strada del dramma-tragedia, riuscendo a tenersi alla larga anche dai cliché di questo genere senza angosciare e opprimere la visione con quel senso di disastro imminente che rovina le sorprese e che tanto piace a una certa cinematografia di una certa provenienza geografica.

Quindi una prima metà simpatica e trasognata (l’amore sofferto, ma tenero e delicato) e una seconda struggente e degradata (l’amore disperato e folle, ma solido). Un po’ di autoindulgenza o il timore di lasciare gli spettatori in sospeso allungano inutilmente il finale, ma per il resto la sceneggiatura è ben orchestrato e si mantiene su alti livelli.

Una cura maniacale per l’inquadratura e per le scenografie arricchisce gli ambienti di dettagli e anche la fotografia contribuisce al fascino delle riprese, mentre di tanto in tanto alcuni giochi di specchi anticipano il tema della personalità latente e problematica della protagonista.

Jeon Do-yeon (The ContactHappy EndNo Blood No TearsUntold Scandal)  è da tempo assurta al rango di divinità per quanto mi riguarda, ma qui supera se stessa, riuscendo ad apparire credibile in ogni situazione, dalle risate alle grida disperate, dalla mogliettina alla puttana mantenendo il suo adorabile modo di recitare naturale e immediato. E, cosa ancor più stupefacente, anche il ragazzone Hwang Jeong-min (Road MovieA Good Lawyer’s WifeThis Charming Girl) non è da meno, interpretando un ruolo azzeccato e intenso che valorizza adeguatamente le sue capacità. Molto appassionata anche la prova della veterana Nah Moon-hee (The Quiet FamilyPlease Teach Me English e la serie TV My Name Is Kim Sam-soon).

A riprova che non siamo di fronte ad un prodotto superficiale, vanno segnalate molte scene cariche di significati metaforici: il dialogo dei due protagonisti sulla scala a chiocciola, simbolo della loro storia ancora tutta da salire (o da discendere); lui che vende la mucca, ovvero quella che era la sua speranza in un futuro migliore; o ancora lui su un pontile sommerso, come il suo stato d’animo. E sono molti altri gli spunti sui quali ci sarebbe da discutere e che andrebbero adeguatamente approfonditi.

Altre mani avrebbero potuto imboccare delle strade molto meno coraggiose e perdersi in smancerie e lacrime facili affrontando un genere abusato e dominato dai luoghi comuni, ma Park Jin-pyo regala alla storia una forza e una maturità fuori dal comune. I personaggi sono ottimamente caratterizzati, e varrebbero da soli il prezzo del biglietto, mentre l’ambientazione apporta un tocco di quotidianità a una vicenda – peraltro tratta da una storia vera – destinata a sconfinare nell’extra-ordinario.

Una delle cose migliori che mi sia capitato di vedere negli ultimi mesi.

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