I’ll Call You

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I'll Call YouDa diversi anni la commedia cantonese vive un periodo di stallo, adagiata sugli allori delle fruttuose produzioni di Joe Ma o della Milkyway e trainate da nomi che sono ormai vere e proprie certezze (Miriam Yeung nel primo caso, Sammi Cheng ed Andy Lau nel secondo). Sono poche le eccezioni ed è difficile avere un buon impatto sul pubblico, specie senza grosse celebrità o grandi mezzi a disposizione. Di tanto in tanto, però, nei cinema di Hong Kong fa capolino qualche piccolo film indipendente o qualche opera prima che bene o male riesce ad attirare un discreto numero di spettatori nelle sale nonostante il basso profilo adottato: è il caso di I’ll Call You, esordio dietro alla macchina da presa di Lam Tze-chung, sceneggiatore televisivo meglio ricordato nelle vesti di attore come spalla comica di Stephen Chow (anche in enormi successi del calibro di Shaolin Soccer e Kung Fu Hustle). Il suo primo film è una divertente commedia dolceamara ricca di trovate simpatiche ed aiutata da una serie di cameo d’eccezione.

I’ll Call You si presenta come un affresco ideale – per quanto surrealmente e volontariamente stereotipato e portato agli eccessi – di tutti i problemi e gli inconvenienti che possono nascere da una storia d’amore. Il protagonista, Manny (Alex Fong Lik-sun, al suo esordio da protagonista, da non confondere con il ben più celebre e navigato Alex Fong Chung-sun), è un tranquillo impiegato che passa le sue giornate tra l’ufficio, il bar e le partite a calcetto sempre accompagnato dai suoi due soliti amici. Karen (Viann Lang, anche lei alle prese con i primi passi nel mondo del cinema) è un’avvenente presentatrice di un programma televisivo trasmesso da una piccola rete, incontentabile e perennemente al verde. Ed in seguito all’incontro tra i due, avvenuto quasi per caso all’interno di un bar, ha inizio una delle parti più riuscite e divertenti del film: il corteggiamento ad opera di Manny, narrato come un vero e proprio videogioco con tanto di punteggio e vite rimaste, è puro spettacolo. Ad ogni sua mossa (la scelta dell’abito giusto, una mentina per l’alito, dei complimenti fin troppo generosi e qualche frase romantica del tutto gratuita) il counter sale generando un effetto davvero esilarante: i frequenti rimandi e riferimenti all’estetica videoludica uniti ad un uso semplice ma efficace della computer grafica e degli effetti sonori portano su schermo in maniera semplice e giovanile lo stato d’animo del povero protagonista, generando un’originale e riuscita serie di situazioni grazie alle quali non ci si può non immedesimare istantaneamente con lui. Ma dopo una prima parte divertente e dai toni scanzonati, Lam Tze-chung decide di virare sull’aspetto più intimista della vicenda proponendoci un Manny distrutto e sfiancato da un amore non ricambiato: metaforicamente rinchiuso nella cella di una prigione, Manny si rifugia in sé stesso e nell’alcol. Ma c’è ancora spazio per le risate, specialmente quando dal nulla sbuca fuori un Andy Lau vestito come in Running on Karma che comincia a cantare una delle sue malinconiche canzoni salvo poi trasformarsi repentinamente nel poliziotto di Days of Being Wild: sarà anche grazie al celebre attore e cantante che un ritrovato Manny riuscirà ad evadere dalla sua immaginaria prigionia.

Il debutto di Lam Tze-chung si può considerare un film divertente e riuscito, una commedia giovane e postmoderna che rappresenta senz’altro una ventata d’aria fresca in un genere che nonostante i grandi richiami di pubblico da diversi anni non apporta molto di nuovo al cinema dell’ex-colonia. Le buone prove attoriali, inoltre, rendono l’esperienza ancora più godibile (il già citato cameo di Andy Lau è fenomenale, ma anche l’onnipresente Lam Suet ha un piccolo ruolo ed uno degli amici del protagonista è Chan Kwok-kwun, che in un impeto di puro metacinema imita sé stesso mentre imita Bruce Lee in Shaolin Soccer). L’inaspettato finale altro non rappresenta se non la classica ciliegina sulla torta. Promosso.