Yau Nai Hoi


Yau Nai HoiRegista e Sceneggiatore.

Yau Nai Hoi è uno degli storici sceneggiatori della Milkyway Image, la casa
di produzione che fa capo al regista Johnnie To. Sua la firma degli script di film del calibro di The Longest Nite, A Hero Never Dies, The Mission, PTU, Election. Nel 2007 è passato alla regia con Eye in the Sky. E’ in occasione della presentazione di questo film che lo abbiamo intervistato nel corso del 9° Far East Film Festival di Udine.

 


Asian Feast: Volevo iniziare con una domanda riguardo a quello che ha fatto prima di Eye in the Sky, cioè il suo lavoro di sceneggiatore. Una cosa evidente è come le sceneggiature orientali, specie ad Hong Kong, sono diametralmente opposte a quelle occidentali, in particolar modo le statunitensi. Quindi volevamo chiederle quali sono le sceneggiature orientali che le piacciono, e poi quali sono i suoi punti di riferimento a livello di sceneggiatura non in Asia.

Yau Nai Hoi: Naturalmente ad Hong Kong il mio mentore è To e Wai Ka fai per quanto riguarda la sceneggiatura. Kurosawa per il Giappone, Francis Ford Coppola e Steven Spielberg per quello che riguarda gli Stati Uniti.

AF: Tutta la sua sceneggiatura è lineare, solida e, diciamo, realistica. Questo accade fino quasi alla fine, poiché alla fine vi è un improvviso ribaltamento del realismo. Volevo capire il perché di questo “miracolo” finale, in cui Simon Yam sopravvive e Tony Leung viene scoperto. Perché c’è questo improvviso ribaltamento, lineare all’inizio, poi il miracolo finale?

YNH: Sono d’accordo che avvenga una sorta di miracolo. L’”eye in the sky” rappresenta una sorta di forza sovrannaturale, controlla ciò che è incontrollabile dall’uomo, ed è proprio un miracolo che la pioggia finisca e che lei riesca a trovare Tony Leung quando invece era totalmente “persa”. E’ proprio una questione di destino, la fatalità che cambia il destino. Questa linearità che si perde in favore del miracolo è voluta per sottolineare l’importanza del destino.

AF: Simon Yam in questo film è completamente mutato, trasformato, gli viene messa la pancia, invecchiato. E’ descritto come figura antidinamica, quando invece la figura tradizionale del poliziotto è il contrario, una figura mobile, pronta all’azione. Volevamo sapere se questa caratterizzazione del personaggio è venuta in mente a lei o all’attore e come, in ogni caso, sia stata scritto questo personaggio.

YNH: Prima di tutto bisogna capire che il primo obiettivo di un “surveillance team” (team di sorveglianza) è di rendersi invisibili, quindi il loro aspetto deve essere consono al loro lavoro. Simon Yam, se lo avete visto nei precedenti film è bello, carino, è il classico “gangster” affascinante, mentre qui, è trasformato nell’uomo qualunque, in qualcuno che si possa mimetizzare nella folla, qualcuno che non si noti. Dovevamo quindi creargli una nuova immagine: così io, il costumista e tutto il team abbiamo lavorato per trasformarlo in un uomo più grasso, vecchio e meno fascinoso, e così Simon Yam si è identificato meglio in questo ruolo.

AF: Sempre collegato a questo discorso sugli attori, volevo farle una domanda un po’ cattiva o ironica. Non è forse il caso di smetterla di dipingere il personaggio di Lam Suet come lo sfigato, mangione? Magari provando a ricaratterizzarlo e facendogli cambiare il tipo di ruolo?

YNH: Spesso l’apparenza di una persona rispecchia il carattere della stessa. E per quanto riguarda Lam Suet questo è altrettanto vero: il fatto che lui sia grassoccio, brutto, è da sempre una linea guida per i registi per costruire i personaggi interpretati da lui. Le sue caratteristiche fisiche determinano preventivamente i ruoli che gli vengono assegnati, è molto facile creargli intorno una figura di perdente perchè così è apparentemente anche nella vita reale. Sfortunatamente nella sua carriera è rimasto sempre molto ancorato a questo ruolo. Sto attualmente lavorando ad una nuova sceneggiatura in cui Lam Suet interpreta un brillante detective, figura antitetica rispetto a quella a lui abituale. In questo film la figura di Lam Suet sarà assottigliata da un trench, e risulterà un raffinato ed intellettuale detective anche grazie al classico espediente della pipa.

AF: Riguardo il progetto Triangle, qual è il suo ruolo nella scrittura di questo film? Abbiamo notato che ci sono due esordienti alla scrittura e lei. Volevamo capire qual è il suo ruolo in questo progetto e come si è diviso riguardo al lavoro con Tsui Hark, Ringo Lam e Johnnie To. E anche del rapporto con gli altri sceneggiatori.

YNH: Triangle sarà costruito in questo modo: inizierà Tsui Hark che avrà la sua produzione, la sua sceneggiatura, i suoi attori, e girerà mezz’ ora di film. Dopo di che Ringo Lam guarderà ciò che ha prodotto Tsui Hark nel suo segmento ed estenderà la storia di un’altra mezz’ora. To è l’ultimo “lato” del triangolo e dopo aver visionato il lavoro di Tsui Hark e Ringo Lam finirà la storia, ovviamente con gli stessi personaggi. Io sono lo sceneggiatore della parte di To, ma solo di quella.

AF: In conclusione una domanda per quanto riguarda i remake; negli ultimi anni si è verificato una grande produzione di remake occidentali di film orientali. Nello specifico, prima si trattava di film giapponesi, ora anche di Hong Kong. Lei è chiamato in causa soprattutto per The Mission, che sarà rifatto da Peter Berg. Volevo capire qual è la sua reazione rispetto a questo evento, capire se è solo una questione monetaria, ma soprattutto come mai non provate direttamente a vendere il film all’estero.

YNH: Gli studios di Hollywood sono sempre alla ricerca di storie in giro per il mondo questo è semplicemente un modo di fare film senza dover avere un’idea originale, lo fanno come business. Per quanto riguarda i film di Hong Kong, negli Usa se ne vendono un sacco, ma sono sempre considerati film in lingua straniera, con una distribuzione limitata e non raggiungeranno mai un pubblico molto vasto. Se invece il film è rifatto, se diventa una produzione americana raggiungerà un’audience maggiore e il fatto che questo remake incontri i gusti di molte persone è positivo per il fatto che queste potranno tornare indietro e cercare la versione originale, spinte dalla visione del remake. Questo è un altro modo per raggiungere un pubblico ed una cultura differente.

AF: Ora la domanda conclusiva, una cosa che ci auspichiamo, ovvero se tornerà al suo stile di scrittura nichilista che l’ ha contraddistinta in The Longest Night, Expect the Unexpected, PTU e se si leverà di dosso quel pizzico di buonismo che c’era nel finale di Eye in the Sky.

YNH: Per rispondere a questa domanda dobbiamo tornare al titolo del film. Vi è una tradizione cinese che parla di un Eye In the Sky che ti osserverà e ti giudicherà: se sei una persona buona avrai una vita felice, mentre invece verrai punito per le tue azioni cattive. La fine del film non è una questione di “buonismo”, ma si basa su questa concezione della vita, per cui i buoni devono sopravvivere a qualunque costo e i malvagi no, questa è la funzione del fato, del miracolo che salva i protagonisti. Il finale di ogni film, di ogni storia deve essere coerente con il messaggio, con la linea che lega tutto il film: qui il messaggio è che i buoni finiranno bene ed i cattivi male, questo è il semplice messaggio.

Foto di Marco Tregambi