Yamanouchi Daisuke


Yamanouchi DaisukeRegista.

 

Navigatore dell’estremo, tra cinema erotico e ultragore, sempre permeato da una malsana aura ludica, si è fatto notare negli ultimi anni per la sua impronta autoriale che l’ha distanziato da altri prodotti simili.

 


Asian Feast: Come mai ha scelto una carriera nel V-Cinema?

Yamanouchi Daisuke: Nella situazione particolare in cui si trova il cinema in Giappone, il V-Cinema, così come i pink, rappresentano gli scarti dell’industria cinematografica locale, con film a basso budget realizzati in tempi ridotti. Che piaccia o meno, è una delle sole porte d’entrata in questo universo per un giovane cineasta. Ma è anche una sfida per questi ultimi che devono rivaleggiare di ingegno per poter fare dei film. E’ un ambiente, il V-Cinema come i pink, dove le compagnie cinematografiche vengono a pescare i nuovi talenti. I giovani registi si abbandonano quindi ad una competizione molto feroce. Ma le opportunità sono numerose perchè le costrizioni sono nettamente meno elevate che nel caso del cinema classico dove i budget sono troppo alti per poter rischiare e dove il pubblico è troppo limitato per certi soggetti. E’ per questo che ho scelto di lavorare in questo ambiente.

AF: Per lei cosa rappresenta o significa il V-cinema?

YD: Da parte mia, comincio sempre per pormi la domanda di cosa sia il V-cinema. Che cosa significa il V-cinema -inteso come categoria- per la gente? Non è televisione e non è cinema classico. Soprattutto, perchè il pubblico ama questi film? Quando ci si pensa, bisogna notare che il V-cinema è abbastanza libero dalle numerose costrizioni di diffusione, di budget e anche di censura. Per questo motivo, questi film possono essere molto provocanti o erotici. Non sono trasmessi in televisione o nei cinema. Le persone guardano i film di V-cinema a casa propria e questo fa si che il legame con questo pubblico sia molto particolare. E’ a questo che penso mentre realizzo un film. I film che realizzo dispongono sempre di un budget molto esiguo e tutto ciò si riflette naturalmente sulla qualità o la scelta degli attori e l’aspetto artistico è forzatamente molto limitato. I periodi delle riprese sono ugualmente molto brevi, è quindi impossibile spostarsi molto (poche location). Infatti tutto è limitato, si soffre sempre dell’assenza di qualcosa! Ma per questo motivo, è una sfida per i giovani registi che devono riflettere su quello che possono fare al meglio con così tanti limiti. Da questa situazione sorge una tendenza a dipingere il lato oscuro della natura umana. La televisione e il cinema classico parlano d’amore, di morale e di questo genere di cose ma la natura umana non è unicamente questo. L’essere umano può essere ugualmente molto oscuro, brutale e puerile. Nell’ambito del V-cinema, visto come divertimento, amo descrivere questo aspetto. Sono cosciente del fatto che molti giovani sono stanchi del cinema hollywoodiano che non parla altro che di morale in senso spicciolo, d’amore, ecc. Questi giovani non hanno simpatia per questi temi e io voglio dire che esiste qualcuno che la pensa come loro e che tenta di esprimere le stesse cose. E’ il modo in cui tento di comunicare con questi ragazzi.

AF: Il pubblico che vi guarda è dunque un pubblico giovane?

YD: Il mio bersaglio principale sono gli adolescenti giapponesi tra i quattordici e i diciasette anni. E’ un’età in cui si oppongono alla società, si ribellano contro quello che i genitori o i professori gli dicono di fare. Sono pieni di energia e di spirito ribelle ma non ci sono scappatoie per loro. Mi piace parlare agli adolescenti, molti dei quali non sono portati per lo sport, gli studi e non sono popolari tra le ragazze. Molti tra loro diventano degli otaku o dei fanatici di idoru. La società e l’opinione generale li condanna e dice loro che devono essere felici, pensare positivamente e cambiare sè stessi. Ma hanno troppe cose in fondo a sè stessi che non possono esprimere. Sento che forse io posso guarirli da questa violenza che hanno dentro di sè. Penso questo perchè anche io ero un pò come loro. Non che io provi della simpatia per loro nè che io sia una persona fredda incapace di empatia, ma talvolta si producono interiormente sensazioni come quella di vedere una ragazza carina e volerla stuprare o essere in collera contro qualcuno e volerlo uccidere. Ma nella realtà non potete farlo e comunque non lo fate. Io voglio solo mostrare a questi giovani quello che sono realmente e dire loro che non sono soli. E’ come fosse la mia missione.

AF: Cerca dunque di far passare un messaggio attraverso i suoi film?

YD: Sono più interessato da parte mia alla letteratura ma i giovani d’oggi non leggono più libri. Sono più a proprio agio con i manga, i video o gli anime. A dispetto dei bassi budget amo proporre, presentare un’opinione affilata sul mondo, una filosofia tagliente. E’ una cosa alla quale non possono arrivare le produzione ad alto budget. Evidentemente sono molto influenzato dai film hollywoodiani come quelli di Spielberg o Star Wars e questo costituisce una specie di introduzione al cinema in generale, ma quando si pensa alla situazione piuttosto tragica dei registi giapponesi contemporanei, non ha alcun senso voler impiegare gli stessi metodi che a Hollywood. Non si pensa nemmeno di fare un film come Star Wars qui. Fuori da questo contesto particolare di fabbricazione dei film in stile hollywoodiano, e questo avviene certamente in altri paesi come la Francia, dei registi rivendicano altri ideali come Gaspard Noè per esempio. Ma, qualunque cosa se ne dica, l’immagine di un film, per il grande pubblico resta quella di un film hollywoodiano. Cerco di cambiare ciò tentando di creare un’altra forma di divertimento, di interesse per le persone, conservando il lato puramente di intrattenimento. E’ per questo che non faccio film direttamente molto personali o sulle mie passioni private. Voglio prima di tutto che il mio pubblico si diverta con i miei film. Ma con un nuovo standard di divertimento, un ‘fun’ originale che tento di suggerire loro.

AF: Perchè lei è diventato regista e non scrittore?

YD: Quando ci si pensa, scrivere offre una incredibile libertà, molta di più che per tutti gli altri media. Si è liberi dalle ristrettezze del budget e si può creare il proprio mondo solo scrivendo. Ma in particolare per la violenza e l’erotismo, il cinema è il media più potente. Ha un impatto molto più potente dei libri. Si può certamente riuscire a descrivere un massacro con un sacco di dettagli se siete uno scrittore dotato ma con il cinema potete finalmente mostrare più di quello che nemmeno potete immaginare. E questo può essere interpretato in maniera molto diversa secondo ciascuno. Può essere visto come qualcosa di disgustoso o di divertente. Ma soprattutto il cinema apporta una forma di realismo. Che si tratti di un omicidio o uno stupro, nonostante resti nell’ambito della finzione, l’atto si produce tuttavia da qualche parte, sullo schermo in questo caso. E’ ciò che voglio creare e mostrare alla gente.

AF: Credete dunque ad un potere dei film?

YD: I film possono captare una forma di realtà, divenire realisti. Quando realizzo un film, spingo le attrici in delle situazioni che loro trovano ripugnanti, fino ad un punto in cui esse vogliono fermare tutto, al punto in cui non desiderano altro che lasciare la produzione. Talvolta per le scene di stupro ad esempio si arriva a delle situazioni vicine alla realtà. Per esempio ho portato un’attrice su una montagna in cui faceva freddo e l’ho fatta spogliare. Facendo questo si giunge al realismo, non si tratta più di recitazione. Sono delle emozioni vere, una vera paura che si può allora catturare. E’ in questo momento che si misura il potere terribile del cinema.
Dopo le riprese, alcune attrici dicono: “non reciterò più in uno dei suoi film”, altre mi ringraziano, o un’altra si è ritirata dal cinema dopo un film. Ma per fare un film interessante bisogna spingere tutto fino ai limiti estremi. Perchè gli adolescenti sono stanchi, disgustati dalle menzogne. Individuano ciò che è falso e non voglio fare questo genere di cose. Secondo me non c’è altro mezzo che il V-cinema per esprimere certe cose. Gli altri media giapponesi sono composti di troppe regole e divieti. Il V-cinema è semplicemente il miglior supporto per me, è la mia ragione d’essere, il senso della mia vita.

AF: Che tipo di regista è durante le riprese?

YD: Se c’è una cosa che detesto ascoltare è che qualcuno mi dica come devo fare o come le cose dovrebbero essere fatte. Detesto particolarmente quando queste osservazioni provengono dalla troupe. Questo accade anche nel V-cinema. In questo caso dico che sono io che sto facendo un film e che bisogna lasciarsi dietro tutte le convenzioni e di adottare il mio modo di fare.
Per quelli che arrivano dal Pink, esiste già uno stile molto codificato, un certo formalismo al quale non si può scappare. Ma il mio più grande desiderio è di fare del V-cinema, perchè voglio fare dei film secondo la mia maniera. Non mi interesso a questioni tecniche come l’illuminazione, la posizione della macchina da presa… Per me tutto questo non è di vitale importanza. Per andare oltre, dirò che qualunque sia la bellezza di un’inquadratura o di una scena, se quest’ultima non cattura quello che si svolge realmente, allora il suo significato è nullo.

AF: Perchè ha allora finalmente deciso di fare un pink?

YD: C’è un motivo importante per il quale mi sono rivolto verso il pink. Il V-cinema è in declino, sono prodotti sempre meno film e sono arrivato ad un punto in cui è impossibile realizzare un film. La gente inizia allora a dirti che i tuoi film sono interessanti ma che non si vendono e che bisogna tornare a delle cose più convenzionali, sicure e generiche. Questo accade anche nell’ambito del V-cinema. Non riuscivo a decidermi. Mi sono quindi detto di non dirigere più film per un pò ma la mia voglia di girare era troppo forte. Quando ero studente di cinema ero molto impressionato dalla bellezza dei film in sè. Su grande schermo il film prende una vita propria, è magnifico. Bisogna tener conto di questo fattore quando si è registi. Si può fare qualcosa di diverso in queste condizioni, con il 35mm al posto del video. Questi pensieri mi sono ritornati, e ho molto desiderato dirigere un film in 35mm. Ma come ho già detto, i pink hanno una lunga storia dietro di sè e mi è stato impossibile fare esattamente ciò che volevo. E’ soprattutto la compagnia che decide per te. C’è quindi una certa frustrazione ma è anche un vero piacere quando riuscite a dirigere una scena come la volete e potete dirvi “E’ lei! Ce l’ho fatta!”. Penso sia per questo che ho potuto girare in queste condizioni e realizzare un pink.

AF: Chi ha scelto Maria Yumeno come attrice principale del vostro ultimo film?

YD: L’ho scelta io. Infatti è stato proprio Katsuya Matsumuda, il regista della serie All Night Long ad avermela presentata. Maria è famosa? (non proprio, ma appariva in IKU ed è nota come attrice porno soprattutto a causa delle dimensioni del seno).

AF: Quali sono le vostre principali influenze?

YD: Adoro Sasori (Female Convict Scorpion con Kaji Meiko – Ndlr)! Shunya Ito (il regista della serie) è il regista giapponese che rispetto di più. Ha anche visto i miei film e mi ha scritto qualche commento a proposito. Altrimenti, i registi che mi hanno influenzato di più sono John Carpenter, Paul Verhoeven, Sam Raimi e David Cronenberg. Avreri voluto dare al mio nuovo film uno stile alla Cronenberg, con un particolare utilizzo dei colori, ma la compagnia ha detto che era fuori discussione! Quando ero più giovane, guardavo alcuni film come quelli della Troma ma guardo più film ora che sono diventato regista che quando ero giovane.

AF: Può parlarci di Dead a Go! Go!? Questo film è probabilmente meno violento ma il suo soggetto, il suicidio, è più sensibile.

YD: Nel 1999, più di 30000 persone si sono suicidate in Giappone. Il numero è maggiore rispetto agli incidenti automobilistici per esempio. Questa cifra ha attirato la mia attenzione e ho cominciato a leggere alcune cose sul soggetto, a fare un pò di ricerche. Quando leggete i giornali potete vedere i fatti e le cifre, ma non le motivazioni, le emozioni che ci sono dietro. Ho pensato fosse la mia missione mostrare queste emozioni. Mi sono domandato cosa fosse il suicidio e sono giunto alla conclusione che rappresenta il fatto di uccidere sè stessi piuttosto che un ‘altra persona. Alcuni pensano che il suicidio sia un crimine ma io penso che alcune persone non possono fare altro che uccidersi. Sono quindi giunto a pormi un’altra domanda, perchè alcune persone uccidono altre persone o sè stessi? La mia conclusione è nell’ultimo dialogo del film quando la liceale sta per suicidarsi. Lei dice: “Non sto per uccidere me stessa, siete voi che uccido” prima di tagliarsi la gola e che il film finisca. E’ quindi solo una questione di sapere chi si uccide, chi scegliamo di uccidere quando siamo messi alle strette. Non posso dire semplicemente come un professore “non suicidatevi”. Non si può sfuggire dall’idea che si tratti di un omicidio. Penso che certe persone, qualunque siano le ragioni devono semplicemente farlo. E’ qualcosa che la televisione non può dire. Solo il V-cinema può farlo.

AF: Qual era lo scopo di un film così estremo e violento come Girl Hell 1999?

YD: Per quel film la sceneggiatura passa in secondo piano, lo scopo principale è quello di shockare la gente, di renderla malata. Volevo far vivere allo spettatore un’esperienza drammatica, spingerlo verso i propri limiti estremi al punto che non potesse più sopportare la visione. Da ciò, questa situazione di una liceale la cui vita quotidiana non è che un susseguirsi di tragedie e che è un contesto che tutti conoscono. Volevo che le gente pensasse successivamente che avrebbero preferito non aver visto il film. Ho voluto proporre una nuova forma di intrattenimento come per esempio quella di pagare per salire in un orribile montagna russa. La gente paga due euro per noleggiare il video e si sente comodamente male per più giorni. Questo può essere divertente! Era l’idea di base del film. Questo tipo di film non è considerato normalmente un divertimento convenzionale. Non è nell’idea del passatempo tradizionale eppure può averne il valore. E’ questo che trovo interessante con il V-cinema. Dopo l’uscita del film ho ricevuto molte reazioni negative, di collera o di incomprensione, ma è esattamente quello che volevo. Mi sono quindi detto che ero riuscito nel mio compito! Secondo me è un film il cui obiettivo è stuprare lo spettatore.

AF: Muzan-E è girato come un falso documentario. Aveva l’idea di fare uno snuff movie?

YD: L’idea originale era di fare un falso documentario e siccome sono molto interessato agli snuff movie, mi piacerebbe fare uno snuff movie a grosso budget in futuro, ho voluto vedere quello che si poteva fare in formato video. Probabilmente voi non siete abituati a tutto questo in Europa ma in Giappone abbiamo questo metodo di censura (la pixellizazione, utilizzata inizialmente per nascondere gli organi sessuali nei film porno) che è usato dappertutto. In televisione, questa pixelizazione (detto anche effetto a mosaico) è usata per nascondere i visi abbinata alla modifica delle voci. Utilizzando questo procedimento, le immagini diffuse diventano più realistiche. E’ abbastanza paradossale perche il fatto di censurare è opposto all’idea di film, di immagine, ma la pixelizazione rende le cose più credibili e realistiche. Volevo parodiare tutto questo e creare confusione. Per le scene più brutali, ho utilizzato un conto alla rovescia per prevenire lo spettatore come ha fatto più tardi Gaspard Noè nel suo Seul Contre Tous.

AF: Un’ultima parola per i nostri lettori?

YD: Penso che i giovani registi giapponesi contemporanei, a dispetto di budget ridotti, realizzano dei film appassionanti. Fate attenzione a quello che accade in Giappone! Altrimenti, i produttori giapponesi restano abbastanza conservatori. Dunque, io sono interessato a incontrare produttori stranieri che mi diano una possibilità. Sono pronto ad andare ovunque!
Mi piacerebbe molto che più donne guardassero i miei film.

 

Traduzione dal francese di Senesi Michele Man-chi:

Immagini dai film del regista:

 

Per gentile concessione degli amici di Trash Times.
Interview made on January 29th, 2003 at Shinjuku, Tokyo by Stéphane Perrin (www.cho-yaba.com) and Junko Sasaki. First published in Trash Times n.12 (www.trash-times.com).

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