Diario di Viaggio – Hong Kong 2005 – parte 5


15 febbraio 2005

Svegliati con l’entusiasmo di andare a vedere l’immensa statua del Buddha a Lantau, la cappa di nebbia e pioggerellina che ci accoglie, ci fa ritornare sotto le lenzuola per pianificare una giornata differente. Decidiamo quindi di trasformarla in giornata shopping, al mercato di Sheung Wan e poi al Hong Kong Arts Center, centro per le arti e lo spettacolo finanziato da Run Run Shaw.
Prima di tutto, però: il cannone del mezzogiorno. Essendoci svegliati con molta calma, ma soprattutto stando a un centinaio di metri, in linea d’aria dal cannone, quando sono le 11.30 scendiamo per andare a vedere. Arriviamo in strada e le indicazioni dicono di girare. Giriamo e ci troviamo in un parcheggio. Riproviamo. Giriamo, di nuovo parcheggio. Facciamo il giro di tutto l’edificio, scendiamo dove indicato e ci troviamo in un parcheggio. Il tempo passa e la speranza di vedere il cannone diminuisce. Improvvisamente, nel parcheggio sotterraneo, troviamo un nuovo cartello, mimetizzato con la parete, che dice di prendere una piccola porticina ed infilarsi dentro. Ci troviamo in una specie di caldaia/corridoio e continuamo per metri e metri a camminare in questo tunnel labirintico finchè, vedendo da dove la gente torna indietro (ormai è mezzogiorno e qualche minuto), riusciamo a sbucare all’aria e almeno vedere dove si trova il cannone. Ma è possibile un percorso così nascosto per raggiungerlo?!? Serve veramente un manuale delle soluzioni per capire dove bisogna infilarsi. Leggermente seccati per la cosa, ritorniamo sui nostri passi e ci dirigiamo verso Sheung Wan.
Il mercato, nei giorni precedenti affrontato solo di sfuggita, si presenta come un nostro mercato abituale, dove però le bancherelle si affiancano a veri e propri negozi stabili fatti null’altro che da una vetrina.
La nostra attenzione si focalizza soprattutto nella zona giocattoli, dove questi minuscoli negozietti che si sviluppano in profondità, sembrano dei veri e propri regni di gashapon e plushies. Ad Hong Kong, infatti, si trovano numerosissimi negozi specializzati nel “apro il gashapon o le trading figures e poi ti rivendo la collezione completa”. Per cui quando si entra ci si trova letteramente sommersi di pupazzetti ed action figures dai prezzi più svariati e di qualsiasi serie possa venire in mente.
Io esco da uno di questi negozi con un sorriso stampato in faccia e la Club House di Hamtaro con tanto di una quarantina di ham hams per la cifra di 60 dollari (sei euro), quando da noi solo la club house, meno accessoriata, costa sui venti euro e i pupazzetti quattro euro a coppia…Poi ci infiliamo dentro tutti gli altri a seguire e ci immergiamo nuovamente nel mondo dei giocattoli.
Presa quasi dalla nausea dopo una lunga permanenza all’interno di uno di questi micro negozi, vado a prendere aria e aspetto Chaoszilla. Dopo mezz’ora non lo vedo ancora uscire per cui, nel dubbio, cerco di capire dove sia finito. Lo trovo alle prese con una discussione in inglese scarso con un appassionato di Super Sentai che gli stava raccontando vita morte e miracoli delle sue collezioni, interessato, oltretutto dall’idea di Chaoszilla di dedicarsi alla collezione di Godzilla.
Questo ci spiega dove trovare dei bei modelli di Godzilla, anche componibili, nei negozi attorno e, scordandosi una cosa, ci viene pure ad inseguire per spiegarci meglio.
Comunque, dopo l’avventura del mercato, andiamo verso Wanchai in cerca della torre dell’Hopewell Center per salire sull’ascensore panoramico. Al primo tentativo sbagliamo e ci ritroviamo direttamente dentro il ristorante, nella vergogna totale, poi preso l’ascensore giusto ci gustiamo un panorama indicato solo a chi non soffre di vertigini, che ci porta da oltre il 60° al 20° piano in pochi secondi. Altro mistero di Hong Kong è la velocità degli ascensori che probabilmente potrebbe quasi generare l’antigravità.
Dopo un pasto veloce in un fast food nei dintorni, andiamo verso l’Hong Kong Arts Centre, per vedere cosa c’è di interessante. La struttura ci accoglie con dei pilastri fatti a forma della lattina di minestra di Wharol. Dentro vi è un’interessante libreria d’arte e cinema e dopo aver fatto qualche acquisto io do un’occhiata veloce alla mostra dei lavori degli studenti, per poi uscire e pianificare cosa fare in serata. Decidiamo di tornare a Causeway Bay e passeggiare in zona, cena a base di ramen ad uno Yoshinoya, catena di fast food giapponese e poi in ostello a mettere un po’ ordine alle valige poiché, nonostante tutto, fra un paio di giorni bisogna rientrare.

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16 febbraio 2005

Finalmente Lantau. Il clima ci è avverso e la giornata non è molto differente da quella appena passata. Decidiamo di arrivare fino a Lantau in MTR, per accorciare i tempi e poi da lì salire col bus al tempio di Po Lin, custode della grande statua del Buddha dorato alto trenta metri.
Più si sale e meno si vede. Entriamo letteralmente nella nebbia, al punto che, scesi davanti al tempio (davanti? Dietro? Dov’è il tempio???) ci mettiamo circa dieci minuti ad orientarci. Tuttavia seguendo la massa dei fedeli che si dirigono tutti in un’unica direzione, decidiamo che è quello il percorso da prendere.
L’atmosfera è strana, molto gotica, con la nebbia fitta, il vento e il solo rumore delle bandierine che sventolano quasi invisibili nella foschia. La fila dei fedeli, lenta e composta, supera la biglietteria e sale la lunga scalinata bianca verso il Buddha.
Ma anche ai piedi della scalinata, il Buddha non si vede. Prendiamo il biglietto comprensivo del pasto che per un prezzo di sei euro ci sembra più che buono. Giunti a metà scala, il Buddha non si vede. Dobbiamo attendere gli ultimi gradini per iniziare ad intuire la forma della statua, ma, neppure così vicini, si riesce a percepire il colore né, tantomeno, i lineamenti.
Il vento più si sale più diventa forte e le voci ovattate si mescolano allo stormire degli alberi della foresta che circonda il santuario. Chaoszilla sussurra: “Sarà, ma a me pare Godzilla”. Effettivamente non nego che l’atmosfera e la mastodontica mole della statua dia un effetto simile…tuttavia, nell’avvicinarsi e nel vedere le statue dei Bodhisattva in adorazione del budda, l’atmosfera ha un che di lovecraftiano, diciamo un Dagon…
Completamente inondati d’acqua cerchiamo rifugio nella zona interna del santuario, sotto la statua, dove si trovano numerose tombe ed epitaffi, tra cui anche quella di Anita Mui. Finito il giro usciamo nuovamente nella speranza che il clima sia più felice, ma la situazione non sembra cambiata, anzi, il vento pare essersi alzato ancora di più. Oltre alla misteriosa coincidenza che grazie ad un pino alle spalle di un bodhisattva, ne dona fattezze godzillesche, notiamo una cosa strana: la foresta è circondata da altissime recinzioni di metallo.
Ci sarà qualcosa di pericoloso? È per questo che regna quest’atmosfera? Le svastiche solari sono in realtà vere svastiche naziste che dimostrano una misteriosa complicità nazi/buddhista e test sugli animali del bosco? Siamo veramente nel regno di Dagon? A tutti i nostri dubbi detti scherzando, una spaventosa smentita giunge dalla foresta.
“No, no, no.”
Un verso di qualche animale che dice realmente “no, no, no”, si ripete un paio di volte, lasciandoci nella perplessità più totale. Decidiamo quindi di scendere ed allontanarci, per andare a pranzare.
Attraversate le due stanze principali del tempio, di una bellezza più barocca rispetto a quelli taoisti, entriamo nella sala da pranzo dove ci forniscono un banchetto da almeno 4/5 persone. Io mangio benissimo, soprattutto perché per la prima volta dall’inizio del viaggio posso star sicura che dentro non ci trovo degli animali, mentre il mio compagno inizia il pasto con una certa titubanza, vista la sua avversione alle verdure, per poi uscirne comunque soddisfatto e pieno.
Dopo pranzo decidiamo di avventurarci lungo un sentiero ai margini del bosco e ad ogni passo l’atmosfera si fa sempre più cupa e terrifica. In lontananza suoni di coltelli affilati, crani frantumati, porte cigolanti. Però, man mano che ci avviciniamo, scopriamo che non si tratta altro che un ristorante secondario, ma dalle fattezze del villaggetto rurale di Resident Evil IV. Un giro rapido e poi pensiamo che, non si sa mai, è meglio allontanarsi…
Il nostro viaggio a Lantau prosegue scendendo a Tai O, il villaggio dei pescatori, ed abbandonando il regno della nebbia e del mistero. Tai O, sicuramente, era più affascinante quando fatto tutto in palafitte di legno. In ogni caso, anche se interamente ricostruito in lamiera, fa il suo effetto: una lunghissima schiera di piccole casette costruite sull’acqua, circondate da barche e da piccoli aironi in volo.
Numerosi sono i cani che girano per la città, pasciuti e pacifici. Nell’aria un fortissimo odore di pesce, più che altro di gambero disidratato, un po’ l’odore del cibo per i pesci d’acqua dolce. Infatti pare che la specialità del luogo sia proprio una speciale pasta di gamberi.
Camminando per visitare tutti i templi della zona, ci imbattiamo in un edificio che attira la nostra curiosità. Una scuola, una scuola abbandonata. Tutto sembra lasciato lì, come da gente fuggita da qualche disastro naturale. Le sedie, i letti, persino gli attrezzi da cucina sono ancora tutti nel luogo in cui sono stati lasciati l’ultima volta. Stanze su stanze, aule svuotate, le lavagne ancora scritte. Pochi gessi, frantumati, a terra. I vetri sono sfondati, tutt’attorno l’erba è bruciata. Cosa mai sarà successo lì?
Inquietante, semplicemente, una scritta sul cemento irrigidito “JASON 2000” con una faccina sorridente a seguire.
Posto strano questa Lantau…
Dopo l’ultimo giro dei templi rientriamo ad Hong Kong Island. Una rapida risciacquata ed usciamo per mangiare qualcosa, ma la maggior parte dei ristoranti sta già chiudendo. Troviamo un ottimo ristorante con un sacco di pietanze buonissime e poi ci dirigiamo verso Time Square per una passeggiata. Premessa: un paio di giorni prima Chaoszilla osserva un’immensa impalcatura a Time Square e commenta: “Cavoli, come fa a non cadere una cosa del genere”. Vuoi il caso, vuoi la sfiga, arriviamo a Time Square e vediamo che la zona è transennata da polizia e vigili del fuoco. Alziamo la testa verso la famosa impalcatura e la vediamo letteralmente schiantata contro il palazzo di fronte. Di nuovo ci sorge la domanda sul fatto che effettivamente, forse, portiamo sfiga.

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(Foto di Senesi Michele e Martina Leithe Colorio)

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